giovedì 30 agosto 2012

"Io ci sputo"

di Rachilde Cimici, esponente del Neosimbolismo Stitico.

Con Rachilde Cimici il movimento poetico del Neosimbolismo Stitico raggiunge il suo apice creativo. Ampio Piruggine, ermeneuta circospettivo ed editore de "Il finocchietto selvatico", la descrive così: "La Cimici spiazza il lettore, con pochi versi demolisce edifici metafisici e falsità filosofiche. Il suo ermetismo e il cripticismo di alcune scelte metrico-lessicali si fanno latrici di un messaggio di folgorante verità".
Siamo fieri di presentarvi questo testo di incredibile valore, consci di aver posto una pietra fondamentale nell'edificio della Letteratura e della Poesia.


Sui motori aristotelici,
sui sistemi tolemaici,
io ci sputo.

Ho inchiodato al pavimento il mio comò.
Tanto è bastato
a rendere il mobile
immobile.

martedì 28 agosto 2012

Sano Delirio, in Giallo-Noir - Francesco Trombi

La Redazione de L'Assurdo è fiera di presentare ai lettori un progetto geniale, ardito e veramente folle, che abbiamo scovato tra le pieghe del Web.
Proprio quando l'ardore della ricerca e la fiamma della speranza stavano per spegnersi, soffocate dal brodo liofilizzato e vermifero dela realtà multimediale, ci siamo imbattuti in questo blog, ribollente di Assurdità con la A maiuscola:



A realizzare questa meraviglia è Francesco Trombi, che ci concede di copincollare il racconto noir che trovate qui sotto. È davvero bello, e c'era da aspettarselo, dato che l'autore è un seguace del Formichiere.

https://lh3.googleusercontent.com/-qe_IfBwwgE0/AAAAAAAAAAI/AAAAAAAAAIY/dfCZ1mKNNwE/s250-c-k/photo.jpg

Sano Delirio, in Giallo-Noir

Birra. Cruda che cade sulla mia testa calda, mentre attendo che quel maledetto procione bussi alla finestra. O alla portiera, non so mai da che parte si avvicini. 
E speriamo che si sia ricordato la parola d'ordine.

<<Carretto, ricordatelo>>

Spero non siano state parola al vento.

Bussa dal pavimento.

<<Parola d'ordine>> gli faccio pigramente, mentre spengo il phon.

<<Carretto, ricordatelo>> risponde lui. Dal suono della voce sembra stia mangiando una ciambella. Ora mi sente.

Entra che ha già deglutito.

<<Mangi sempre in servizio, Richard. Ti ricordo che più di un procione è stato scacciato dai Vigili del Fumo per questo motivo.>>

Lui mi guarda con i suoi occhietti mascherati, nega debolmente. Mi ha sempre visto come un maestro, solo perché la prima volta che ci siamo visti indossavo una lavagna. Un bel vestito gessato, di colore verde: me lo aveva regalato un Quadrato, compromesso in un traffico di lampadine importate di contrabbando a Venezia. Tutti sapete che a Venezia le lampadine sono state vietate dal Doge (che mi immagino come un uccellaccio pieno di soldi, sporco come un gatto e leccapiedi come un piccione. Maledetto Doge) per evitare altre morti di gente che avvitava lampadine sott'acqua.


Quella sera la stessa cosa. I ranocchi avevano comprato un carico di prolunghe per tenere sotto scacco la città della Laguna, ma questo aveva fatto scattare le attenzioni della gang dei giganti, mai contenti della loro situazione.

Come fa un gigante ad agire nell'ombra? Frustrante.

I giganti avevano dunque corrotto alcuni scaricatori di porto, che per guadagnare sulla lista spese avevano a loro volta corrotto delle gazze ladre.


Appoggio il gomito fuori dal finestrino. Le trombe della cattedrale squillano roche nella sera, suonando un sacro jazz di benvenuto. Il porto ci sputa addosso. Peccato che abbia appena fatto lavare la macchina.

<<Allora Richard, lo sai qual è il nostro compito stasera?>>

<<Allora. Il traffico di diamanti che copre le prolunghe sta per essere scoperto dalle gazze ladre assunte dai giganti, e le ranocchie sono davvero nei guai. Dunque arrestiamo quei due rospi laggiù, eliminiamo le prolunghe. Poi aspettiamo le gazze, tiriamo fuori una confessione, e arrestiamo le pedine grosse.>>

Lo guardo. Troppo giovane per capire, troppo giovane per fingere.

<<Sei in arresto, Rick>>

Non resiste neanche, nemmeno una lacrima gli scorre sul pelo.

<<Come hai fatto a beccarmi?>>

<<Lo sanno tutti che le ciambelle le mangiano i giganti. Devi imparare a masticare meglio, Rick.>>

mercoledì 22 agosto 2012

Adolfo Frostemberg-Brachicardio collabora con L'Assurdo

La Redazione de L'Assurdo è felice di annunciare al nostro nutrito gruppo di affezionati lettori questa cosa qui: qualche giorno fa siamo stati contattati dal famoso grafico Adolfo Frostemberg-Brachicardio, che in una lunga mail chiedeva di collaborare al nostro progetto. Figuratevi il giubilo dello staff intero all'idea di lavorare con un artista del suo calibro. Uno che ha vinto il Premio Seppia per le foto agli anfibi, che ha collaborato con riviste del calibro di "Palancole indelebili", "Pantofole per finta", "Webgrafica per nostromi".
Con Frostemberg-Brachicardio l'intesa è stata subito perfetta, e nel giro di una settimana scarsa abbiamo preparato uno sfondo grafico all'avanguardia, accattivante e d'impatto per gli splendidi aforismi del nostro Saggio.
Cliccate sulla copertina, gente, godetevi questa meraviglia e condividete.
Perchè l'Arte ha bisogno di voi!

martedì 21 agosto 2012

I pregi della politica preistorica

Puntata n°3 di "Essere australopitechi oggi", rubrica regressiva a cura di Grrrugl.




L'estate volge al termine, cari lettori: tra poco niente più costumini succinti, niente più sudore, niente più piedi nudi e sporchi di terra. Peccato, vero? Non è la stagione più bella, l'estate, quella che vi fa sentire più vicini agli ominidi?
Ma che ci si può fare? Nulla, quindi meglio passare all'argomento di questa terza puntata: la politica preistorica. Che, per la cronaca, non era mica una roba da ridere. Anzi, siamo qui proprio per dimostrarvi quanto l'antico paradigma politico sia ben più funzionale di quello presente.
E via, dunque: ecco, in dieci comodi punti, i pregi della sistema politico australopiteco.

1) Non si sente dire in giro che i politici sono troppi?
E allora cosa aspettiamo a sostituirli con un solo capotribù? Niente più parlamenti sovraffollati, niente più presidenti e commissioni bicamerali, niente più segretari,  sottosegretari, vicesottosegretari e cose del genere.

2) I politici hanno stipendi troppo alti?
Bene, se al posto degli stipendi facessimo come prima dell'invenzione della moneta (e della fusione dei metalli, della ruota e di tante altre diavolerie moderne...), al capotribù al massimo daremmo le parti più nutrienti delle nostre prede (il fegato, ad esempio, o il cuore), mentre il resto resterebbe a noi umili cacciatori e alle nostre famiglie. Anche perché a caccia si va in gruppo, e il capotribù è il primo a tenerci, ad avere dei cacciatori in forze e ben nutriti.

3) Non solo i politici hanno stipendi troppo alti, ma è tutto l'apparato di palazzo, che costa troppo.
Nella preistoria, al contrario di oggi, di palazzi non ce n'erano. Solo grotte, e al massimo capanne (ma stiamo parlando di cose già troppo moderne, a nostro avviso...). Tutt'al più il capo si prendeva la parte più comoda della grotta (che comunque non era mica un materasso della Eminflex...), o una capanna un po' più grossa, e decorata con le ossa delle prede. Niente di terribile, vero, rispetto alle spese folli di palazzo Chigi?

4) I partiti e i partitucoli non fanno altro che litigare.
Con un solo capotribù e la necessità di cacciare e raccogliere per sopravvivere, il tempo per litigare non ce l'avrebbe più neanche Sgarbi. E se ci provasse, a litigare, il capotribù lo prenderebbe a mazzate.

5) I partiti e i partitucoli si scannano sulla legge elettorale da adottare nel 2013.
Tralasciando il nostro sdegno riguardo all'abitudine moderna e moralmente discutibile di contare gli anni (per di più fino a numeri bislacchi come il 2013...), lo sapete come si svolgevano le elezioni, fino a qualche manciata di millenni fa? Chi voleva diventare capotribù si trovava con gli altri aspiranti capitribù in uno spiazzo. Tutti portavano una clava, e si prendevano a mazzate. Il più forte, automaticamente, era eletto. Non vi pare più facile e funzionale rispetto al maggioritario e al proporzionale?

6) Al sistema politico moderno manca la governabilità.
A quello preistorico no. E il segreto è sempre lì, nelle mazzate che il capotribù riservava a chi avesse qualcosa da ridire.

7) Non ci si sente più sicuri, nelle nostre città.
Al di là del fatto che delle città noi primitivofili faremmo volentieri a meno, se al posto dei vigili urbani metti degli ominidi armati di clava e al posto dei tribunali un capo con una clava ancora più grossa, la certezza della pena (in forma di sonore mazzate) sarà assicurata al cento per cento. Forse anche al centodieci.

8) La politica, ormai, è troppo condizionata dall'economia.
A questo problema non c'è rimedio, perché è sempre stato così. Però l'economia primordiale, fidatevi, l'economia che vorremmo noi fan dei bei tempi andati, è molto, ma molto più semplice di quella odierna. Niente spread, niente Mibtel, niente Pil, niente indici di produzione e di consumo. Uno gnu? Bene. Zero gnu? Male. Tre lepri? Così così. Applicando il Teorema della Semplificazione Generalizzato all'economia arcaica che auspichiamo, poi, si arriverebbe ad una formula unica, valida e immediatamente verificabile per ogni ominide. Pancia piena? Bene. Pancia vuota? Male.

9) I rapporti internazionali si fanno sempre più tesi e la diplomazia fatica ad arginare i nazionalismi e gli egoismi dentro e fuori dall'Unione Europea.
Nel mondo che sogniamo, i rapporti internazionali sono davvero scarsi, perché c'è proprio da essere sfigati a incontrare qualcuno di un'altra tribù. Se questo dovesse accadere, comunque, la diplomazia entra in campo anche per noi primitivi. Se il membro della tribù rivale grugnisce, tu grugnisci più forte. Se lui replica, tu alza il tono. Se nessuno dei due abbassa la testa in segno di sconfitta... Beh, ce l'hai la clava, no?

10) I nostri politici non si interessano abbastanza al futuro dei giovani, alle loro speranze di occupazione e di benessere.
Beh, se sei australopiteco funziona tutto al contrario. Un lavoro ce l'hai subito, appena inizi a camminare. Raccogli bacche, acchiappi insetti, prendi le foglie per fare un giaciglio. L'apparato politico ti protegge, perché sei una risorsa importante per la tribù: se qualcuno o qualcosa cerca di farti male, il capo gli scatena contro tutti i cacciatori. Quando cresci, se sei maschio, tutti si fanno in quattro per insegnarti a tendere un agguato alle antilopi, anche il capotribù, che d'altra parte è il più fico. Se sei femmina, le altre femmine ti spiegano ben bene a distinguere le bacche buone da quelle velenose, a scovare le tracce dei topiragni, e a fare attenzione agli scorpioni. Il lavoro, insomma, non ti mancherà, e nemmeno le possibilità di far carriera: più gazzelle catturi, più sarai benvisto nella tribù, più zebre ammazzi, più potrai nutrirti correttamente, quindi sarai forte e avrai più possibilità di essere "eletto" capotribù. Anche la meritocrazia è salva, non ti pare?
E la disoccupazione? Pure quella, se tutti seguissero la nostra idea di tornare alla preistoria, sarebbe solo un brutto ricordo. Di roba da raccogliere e di bestie da cacciare ce ne sono sempre, e per chi si rifiuta di farlo c'è sempre la mazza del capotribù. O la morte per inedia.

martedì 14 agosto 2012

Favola di Ferragosto



C'era una volta, in paese lontano lontano, un re ricco e potente.
Cinquecento servi fedeli lo riverivano, i suoi sudditi lo adoravano, i suoi figli e le sue mogli lo tenevano in grande considerazione.
Viveva in una reggia d'oro zecchino, piastrellata di smeraldi e di rubini, con mille stanze da letto, cinquecento salotti, trenta cucine e cento bagni turchi.
Nelle sue scuderie si potevano ammirare i cavalli migliori, le carrozze più sontuose, le lettighe più splendide, e sulla sua tavola non mancavano mai tartufi, caviale, champagne e ostriche di primissima scelta.
Un giorno, però, entrò in una ricevitoria e da allora, in pochi mesi, perse tutto ai gratta e vinci e ai videopoker.

sabato 11 agosto 2012

La donna-rana - Terza ed ultima puntata




Al negozio prendo la prima motosega che il commesso mi mette in mano.
Non ragiono più, voglio solo uccidere, straziare, sterminare, visto che ho deciso di diventare un serial-killer.
Voglio uccidere te, donna meravigliosa che mi hai stregato, e il tuo marito grasso, che ha colto il frutto del tuo amore prima di me.
Farvi a pezzi.
Disseminare la vostre interiora per il soggiorno, schizzare col vostro sangue la carta da parati.

Con la motosega ancora inscatolata mi metto a correre, prendo a spallate una poliziotta impegnata a districarsi i bigodini e arrivo a casa tua.
Irrompo nella tua dimora, allora, e tiro fuori la motosega dalla scatola.
Tiro la corda, ma non si accende. Tiro ancora, e ancora, mentre tuo marito grida coma un ossesso: "Mannaggiazza a te, brutt' marpione malintenziunat'! Ti spantego tutt' adess', orendo molestator'!"
Non ho pensato alla benzina.
Stupido me.
Franco mi si getta contro col suo corpo molle e bisunto, alzo la motosega spenta per proteggermi e per un attimo ti vedo, mia splendida donna dalle forme di batrace: sei in cucina, e frughi con quelle tue mane nodose e splendide nei cassetti.
Tuo marito mi si spalma addosso, ma calcola male le distanze, e si taglia la narice destra con la lama della motosega.
Si allontana, allora lo colpisco in faccia, gli squarcio una guancia.
Urla di dolore, tu gli arrivi alle spalle col coltello del pane, quello tutto seghettato, e mentre ti guardo stupito inizi a tagliare, a staccare brandelli di carne dal corpo flaccido di tuo marito.
Lui prova a dire qualcosa ma il sangue soffoca le sue parole.

Quando smette di respirare ti guardo, e sono al colmo della felicità.
"Graaazzie!" mi dici con la tua voce soave e gracchiante "Graaazzie ssconosciuto che mm'hai salvato da quista bestiaccia qui. N' vent'anni di mattrimonnio m'ha sempre solo picchiata e 'nsultata. Graaazzie!"
Ti vedo piangere di felicità, e decido subito di smetterla con la storia del serial-killer.
Non voglio più ucciderti.
Ci guardiamo per un attimo, poi mi baci, e sento la tua lingua spugnosa sulla mia, e tasto con le labbra i tuoi denti storti e intartarati, mentre ti accarezzo le guance grigiognole screziate del sangue del tuo ex-consorte.
Che gaudio! Che felicità!
Pensavo di non poterti mai avere e invece eccoti qui, che smembri insieme a me la carcassa di tuo marito morto e giochi a lanciarmi i suoi intestini.
Partiremo, amore mio.
Partiremo non so per dove, ma troveremo una casetta tutta per noi, e sul caminetto terremo la nostra motosega, e magari un paio di dita di Franco, o un orecchio.
Staremo sempre insieme, io e te.
Perché questo è il senso dell'amore: sentirsi felici ed appagati, dopo aver segato le ossa di un cadavere.


La donna-rana - Prima puntata

La donna-rana - Seconda puntata

lunedì 6 agosto 2012

"Cefalopodi domenicali"

di Gerilde Williams, esponente del Neosimbolismo Stitico.
 
L'Assurdo è fiero di ospitare un'altra voce del movimento poetico del Neosimbolismo Stitico: la giovanissima Gerilde Williams. Ventenne, promessa della poesia italiana, nelle sue opere è forte l'influsso stilistico del gruppo dei Cantastorie di Northampton e soprattutto del maestro Asdrubalo Chiaguzzi, mentre le tematiche affrontate sono più intimiste e visionarie.




La domenica
euritmica
degli alberi
riposa
incerta
tra le fronde,
e in tronchi felici,
un po' monotematici.

Città simmetriche
si vestono di cupole
e di guglie
e di pinnacoli
e di gemme
e di manifestazioni
sportive,
o canore,
e di balbuzie.

La gente
s'incasella
e gira
per le strade
con auto
pluripistonate,
la domenica,
come divani
d'alcantara
nel bel mezzo
di un torrente.

Gli alberi no.
Gli alberi
crescono
e muoiono
e vomitano
resine e tumori
tutti i giorni
allo stesso modo,
lunedì martedì
mercoledì giovedì
venerdì sabato,
e anche la domenica.

Ecco a cosa penso,
mentre tu mi lasci sola.
Mi abbandoni per gli amici,
per giocare al tuo calcetto,
ma lo so che mi tradisci
anche se non me lo dici.

Da bambina
mi chiamavano
"La Pera",
un po' per il cognome
un po' per i miei fianchi.
Tu riapri le ferite,
perchè so che non mi vuoi,
così resto impigiamata
a guardare la giornata,
e a pensare alle falene,
che si bruciano per bene
 sulla lampadina sferica,
ogni giorno, anche domenica.

E così, mentre son sola,
se mi voglio consolare,
mi posso soltanto 
nell'intimo toccare.

È così, la mia domenica:
come un calamaro
troppo molle
per farlo friggere 
per bene,
troppo duro
per mangiarlo crudo.